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The obsessive pursuit of happiness


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«Quanto sarebbe bello... se non si dovesse pensare alla felicità?»
Nel Mondo Nuovo (Brave New World), Aldous Huxley presenta la felicità come un mezzo per la stabilità sociale piuttosto che per la realizzazione personale. Questo concetto, a mio avviso, è strettamente legato al nostro mondo nuovo di oggi, dove la felicità sembra essere l'obiettivo primario: non solo qualcosa che dovremmo mostrare agli altri, ma anche qualcosa che rincorriamo disperatamente per noi stessi. Ma cosa succederebbe se questa "ricerca tossica della felicità" ci facesse perdere l'opportunità di vivere veramente?

Qui esplorerò la nostra ossessione culturale per la felicità e i paradossi della ricerca tossica della felicita', per poi attingere alle neuroscienze della Dopamina, dell'Ossitocina, della Serotonina e delle Endorfine, che forniranno un quadro più chiaro di cosa sia la vera realizzazione.

L'ossessione culturale per la felicità

Leggendo quella frase di Huxley, è risuonato qualcosa che ho provato ma che non sono mai riuscita a nominare: la silenziosa pressione a essere felice, non solo in privato, ma pubblicamente e in modo performativo. Oggi la felicità rappresenta non solo un sentimento ma anche una moneta di scambio. La rincorriamo, la esibiamo e temiamo la sua assenza.


«Crescendo, ho imparato dal silenzio che la tristezza era vergognosa, qualcosa da non esibire, da tenere per sé. Le lacrime venivano accolte con distacco, inviando un messaggio chiaro: non devi sentire troppo, e se devi mostrare i tuoi sentimenti, assicurati di mostrare solo quelli "buoni". E così sono diventata un'esperta nel nascondere.»


La filosofia offre un linguaggio per questa pressione. L'Edonismo domina la nostra cultura, diffondendo le norme emotive dell'estrema ricerca del piacere e dell'evitamento del dolore. Ma la motivazione edonica non predice direttamente la soddisfazione individuale; lo fa la motivazione Eudaimonica. Quest'ultima, radicata nell'autenticità, nella profondità emotiva e nel significato, appare assente nella nostra società. La ricerca del piacere e l'evitamento del dolore sono in conflitto; la crescita genuina e lo sviluppo individuale richiedono duro lavoro e disciplina, che difficilmente possono essere raggiunti senza sforzo e sacrifici. Così, questo conflitto creato dalla motivazione edonica porta a un'ossessiva ricerca della felicità che, reprimendo ed evitando la profondità emotiva che costituisce, mina la soddisfazione della vita.1



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Positività Tossica

Questa costante ricerca della felicità può essere vista anche attraverso la positività tossica. Wyatt (2024) rivela come, nella costante esibizione della gioia, la tristezza diventi un tabù, escludendo l'autenticità emotiva. Questo fenomeno si amplifica sui social media. Attraverso l'azione abituale di pubblicare, creiamo una versione idealizzata della vita; impariamo a filtrare il nostro dolore, a provare vergogna per la nostra autentica esperienza emotiva, danneggiando la nostra salute mentale. Questa facciata di felicità costante, ignora la necessità della convalida per l'intera gamma di esperienze emotive. «L'esposizione costante ai "momenti salienti" della felicità e della positività altrui può creare una percezione distorta della realtà, facendo sentire che le proprie vite sono meno appaganti in confronto a quelle degli altri», finché la felicità sembra raggiungere tutti tranne noi, o almeno non in egual misura. Questo può portare all'occultamento dei propri sentimenti ed esperienze ed è associato a una minore autostima.2


Le Neuroscienze della "Vera" Soddisfazione

In questo mondo, dove la felicità è spesso considerata l'obiettivo primario e la cultura ci incoraggia a nascondere i nostri sentimenti, la neuroscienza presenta una storia diversa. La Dopamina, un neurotrasmettitore legato anche al piacere e alla ricompensa, sembra non raggiungere il picco quando otteniamo qualcosa (ad esempio, quando siamo in quel viaggio tanto atteso o otteniamo la nostra laurea), ma piuttosto nell'anticipazione, quando aspettiamo, pianifichiamo e agiamo verso quell'obiettivo. Un recente lavoro di Goedhoop et al. (2023) sui ratti, suggerisce chiaramente che quando i ratti sono condizionati a premere una leva per ricevere cibo, il rilascio di dopamina aumenta non quando consumano il premio, ma piuttosto nell'attesa di premere la leva per riceverlo. In altre parole, il sistema cerebrale del piacere è più attivo non nel momento dell'avere ma nella ricerca stessa. (3)

Finora, possiamo concludere che è l'anticipazione che ci motiva ad andare avanti, dandoci un sollievo emotivo positivo, mentre la dopamina sussurra: «Quando raggiungerai quel traguardo ti sentirai finalmente completo». Ma la dopamina è solo la scintilla, la promessa, l'attrazione, non il bagliore. (E la sua rappresentazione eccessivamente semplificata è spesso abusata, rafforzando una cultura edonica della tossica caccia alla felicità.)

La vera realizzazione emotiva, tuttavia, richiede più della sola ricerca; richiede presenza, connessione e autenticità emotiva. Il calore dell'Ossitocina è favorita non solo attraverso attività condivise ma anche attraverso il conforto di essere abbracciati o ascoltati quando si sta attraversando una giornata difficile. Questa è un antistress naturale che promuove il benessere generale e induce una riduzione della pressione sanguigna e dei livelli di cortisolo. (4) Allo stesso modo, fare esercizio fisico, fare l'amore, ascoltare musica, ridere, piangere, praticare mindfulness o affrontare le difficoltà possono contribuire al rilascio di Serotonina ed Endorfine che aiutano a regolare e bilanciare l'umore, aumentando il benessere. (5)


Ciò che si nota attraverso tutti questi esempi è che questi neurotrasmettitori vengono rilasciati quando connettiamo, riflettiamo e ci permettiamo di sentire, quando piuttosto che rincorrere, facciamo una pausa, abbracciamo, respiriamo, piangiamo.


Queste scoperte hanno implicazioni filosofiche. E se smettessimo di rincorrere la felicità come un traguardo? E se ci permettessimo di sentire tutto ciò che c'è in mezzo: il dolore, la speranza e la tristezza? E se quella tristezza non fosse un fallimento, ma una forma di verità? Ho letto, ironicamente online: «La vita è ciò che accade mentre fai altri progetti». Allora, e se la vita accadesse anche quando ci viene detto di nasconderci, nelle lacrime che ingoiamo e in quel desiderio che scambiamo per mancanza, poiché la vera soddisfazione, a quanto pare, vive nel percorso.


Questo articolo non è un invito a condividere troppo o a essere vulnerabili in un luogo che non riteniamo sicuro. È, invece, una chiamata alla consapevolezza. Consapevolezza che dobbiamo a noi stessi, poiché la felicità non è il traguardo, è solo una parte momentanea di uno spettro di diverse sfumature della vita.


Reference:

  1. Sun, W., Liu, L., Jiang, Y., Fang, P., Ding, X., & Wang, G. (2023). Why are hedonists less happy than eudaimonists? The chain mediating role of goal conflict and mixed emotions. Frontiers in Psychology, 14. https://doi.org/10.3389/fpsyg.2023.1074026


  1. Wyatt, Z. (2024). The Dark Side of #PositiveVibes: Understanding toxic positivity in modern culture. Psychiatry and Behavioral Health, 3(1). https://doi.org/10.33425/2833-5449.0016


  1. Goedhoop, J., Arbab, T., & Willuhn, I. (2023). Anticipation of appetitive operant action induces sustained dopamine release in the nucleus accumbens. Journal of Neuroscience, 43(21), 3922–3932. https://doi.org/10.1523/jneurosci.1527-22.2023


  1. Uvnas-Moberg, K., & Petersson, M. (2005). Oxytocin, ein Vermittler von Antistress, Wohlbefinden, sozialer Interaktion, Wachstum und Heilung [Oxytocin, a mediator of anti-stress, well-being, social interaction, growth and healing]. Zeitschrift fur Psychosomatische Medizin und Psychotherapie, 51(1), 57–80. https://doi.org/10.13109/zptm.2005.51.1.57


  1. Dsouza, J. M., Chakraborty, A., & Veigas, J. (2020). Biological connection to the feeling of happiness. JOURNAL OF CLINICAL AND DIAGNOSTIC RESEARCH. https://doi.org/10.7860/jcdr/2020/45423.14092



 
 
 

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